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In occasione della consegna dei Vision Ottica Award, era presente anche Gianni Rehak, il quale ha tenuto un discorso molto interessante che merita di essere riportato qui sotto. Tanti giovani si chiederanno chi era il Prof. Bastien e perché il premio è stato intitolato alla sua memoria: facciamo, quindi, una piccola digressione.
Se siamo arrivati ad avere sette corsi di laurea attivi, è anche per merito dei membri della S.O.E. (Società d’Optometria d’Europa): fu grazie a loro che, negli anni Settanta, l’optometria è stata portata in Italia e in Europa. Rehak stesso, nel suo sito, afferma che quando hanno trovato un libro sul metodo OEP non riuscivano a capire perché, davanti al numero, doveva essere presente il simbolo #: oggi sembra scontato, ma allora non lo era per nulla.
Per introdurre il prof. Bastien, invece, basta solo ricordare che, nel 1970, tenne un corso in Italia organizzato dalla SOE, cui parteciparono 320 professionisti bramosi di imparare: con la tecnologia di allora, arrivarono al punto di dover allestire una registrazione a circuito chiuso per fare in modo che tutti i partecipanti, divisi nelle due sale, potessero vedere e sentire Bastien.

Di seguito riportiamo l’interessantissimo discorso di Gianni Rehak, un pioniere optometrista italiano con uno sconfinato desiderio di condivisione: motivo per cui, quasi un anno fa, gli è stata conferita la tessera onoraria di ALOeO.

 

 

Signore, Signori,
tra poco alcuni di voi riceveranno il Diploma di Laurea in Ottica e Optometria che rappresenta il coronamento di un impegnativo corso di studi.
Alcuni riceveranno un premio per la miglior tesi di laurea che quest’anno è dedicato alla memoria del Dott. Prof. Armand Bastien decano della Facoltà di Optometria dell’Università di Montreal.
Io sono stato invitato, dal mio amico Jeff Longoni, con il quale ho condiviso per circa quarant’anni sia l’esercizio della professione che la lotta per vederla riconosciuta a ricordare il Prof. Bastien.
Se Jean Thiriart, fondatore e presidente della Società d’Optometria d’Europa è stato il padre politico della nostra professione, il Prof. Bastien ne è stato il padre scientifico.
Oltre a considerarlo il mio maestro ho anche avuto l’onore e il piacere di frequentarlo personalmente sia in Italia, ospitandolo a casa mia, che di essere a mia volta suo ospite a Montreal nella Facoltà e anche nel suo studio privato, dove ho potuto toccare con mano come la professione veniva esercitata.
Anche in quell’occasione ero in compagnia di Jeff Longoni oltre a Ugo Frescura di Asti, Riccardo Perris di Rho e Sergio Berti di Roma.
Sono certo che il modo migliore di ricordare Armand Bastien, canadese di profonda cultura francese, non sia il classico “coccodrillo” ma cercare di trasmettere quello che lui ci ha trasmesso e che credo sia drammaticamente attuale.
Nell’ottobre 1970, ben 44 anni fa, il Professore Armand Bastien venne in Italia su invito della Società d’Optometria d’Europa e proprio qui a Milano tenne il suo primo corso “L’esame e il trattamento visiogenico dello strabismo e dell’ambliopia”.
Quando cominciò a parlare, ci parve di sognare: il nostro background di occhi troppo corti e troppo lunghi di occhio/macchina fotografica venne sbriciolato da affermazioni quali:

La visione è una funzione appresa.
La visione è motricità.
Un buona messa a fuoco è la risultante di un circuito visivo ben equilibrato.

Sul piano funzionale, i modelli dell’occhio troppo lungo, troppo corto o deformato, non hanno che un valore molto relativo, poiché non tengono conto che di un aspetto molto limitato del sistema visivo.
Capita che problemi come la miopia, l’ipermetropia, l’astigmatismo, siano legati a dei problemi di rendimento visivo.
Molto più di frequente, capita di trovare dei gravi problemi di rendimento visivo in assenza di miopia, di ipermetropia, di astigmatismo e magari con un’acutezza visiva di 10/10.
Arnold Gesell nel 1949 pubblicò “Vision: its development in infant and child” la visione e il suo sviluppo nel neonato e nel bambino.
Basandosi su decine di migliaia di metri di pellicola girata attraverso una cupola di vetro, al centro della quale si trovava un neonato assistito da due persone, questo studio dimostrò quali fossero le tappe che man mano il bambino completava per giungere a “dare un significato”.
A “dare un significato” sottolineo ed enfatizzo questa frase: la pronuncerò ancora in questa chiacchierata.
Nel 1970, l’Istituto di Visiologia di Quebec pubblicò una serie di testi fondamentali per una moderna concezione della funzione visiva.
Ne furono stabilite le basi in cinque distinti processi:
la FILOGENESI: lo studio dell’evoluzione delle speci
l’ONTOGENESI: cioè lo sviluppo dell’individuo che altro non è che una rapida ricapitolazione della filogenesi. È la legge di Haechel, enunciata nel 1866: “prima di camminare come uomo, il bambino si muoverà come un primate...
prima di muoversi come un primate si muoverà come un mammifero…
prima di muoversi come un mammifero i suoi movimenti saranno quelli di un rettile…”
la terza nozione che bisogna considerare è che l’organismo umano, quale oggi lo osserviamo, procede allo sviluppo di tre sistemi: quello corticale, quello viscerale e quello scheletrico.
In effetti, da molto tempo, biologi e d embriologi hanno osservato che l’embrione presenta tre strati ben distinti: l’ectoderma, il mesoderma e l’endoderma, il cui sviluppo creerà rispettivamente e grossolanamente il sistema nervoso, il sistema d’azione, le viscere e le ghiandole che assicurano l’equilibrio interno dell’organismo.
In quarto luogo, sempre su basi biologiche, la visione sottende tre processi: l’emmetropizzazione, la binocularizzazione e l’identificazione.
Il futuro uomo, nel corso della sua ontogenesi compirà diverse tappe di sviluppo e questo percorso presenta, come dimostrarono Burcier e Succhielli nel 1963, dei momenti cosiddetti “fragili”.
Infine, è quindi ragionevole pensare che, degli agenti stressanti che agiscano in maniera compulsiva sull’organismo, durante questi momenti di fragilità, possano produrre dei blocchi o dei problemi nelle strutture e nell’evolversi di uno o più processi in via di sviluppo.
Quella a cui ho brevemente accennato è la base teorica della rieducazione visiva: attività d’elezione per un optometrista.
Fare ripercorrere tutte le tappe dello sviluppo della visione al fine di rinforzare o addirittura reimpostare quelle che per cause interne e/o esterne, non fossero state completamente compiute.
La visione è motricità.
Faccio un esempio banale: se volete capire di che tipo di stoffa si tratti non vi basta toccarla.
È il movimento dei polpastrelli che invierà al cervello i dati necessari per l’identificazione...
Allo stesso modo sono i continui movimenti saccadici, dai 600 ai 700 al secondo che mandano al cervello le informazioni necessarie ad una rapida e precisa identificazione.
Esercitare l’optometria non è quindi “mettere le immagini sulla retina” ma intervenire sul più importante canale attraverso il quale l’uomo attinge informazioni dal mondo che lo circonda.
La Visione è, senza dubbio, il più importante trait-d’union tra l’uomo e l’ambiente ed è compito precipuo dell’Optometrista rinforzare, ottimizzare e mantenere questo trait-d’union.
L’uomo deve “imparare a leggere per poi leggere per imparare”. Una lettura non è solo lo scopo della scuola primaria, ma un mezzo per raggiungere lo scopo finale del’insegnamento: la trasmissione delle conoscenze.
L’apprendimento della lettura è la capacità di “dare significato” a dei di per sé insignificanti segni grafici.
Questo apprendimento rappresenta una condizione estremamente drammatica, critica, difficile a causa dell’enorme quantità di energie che assorbe.
Darrel Boyd Harmon dimostrò nel 1946 che esistono delle scuole che sono fabbriche di miopi, di ipermetropi e di astigmatici.
La principale associazione di Ottici Italiani nel 1983 finanziò e realizzò in Italia due scuole: una a Ispra e una a San Ferdinando di Puglia, progettate secondo i dettami di Harmon che ritenevano di primaria importanza la postura e l’illuminazione per creare condizioni ottimali per l’apprendimento. In sintesi: le forze psicofisiche che un bambino può destinare all’apprendimento sono inversamente proporzionali a quelle richieste per adattarsi all’ambiente.
Più l’ambiente sarà inadatto o poco adatto più forze saranno utilizzate per adattarsi e MENO ne resteranno da utilizzare per l’apprendimento che, come abbiamo detto, è un divoratore d’energia.
Se un bambino dovrà utilizzare una grande quantità di energia e cioè di sangue e di ossigeno e di stimoli nervosi per rendere possibile e fluido il funzionamento delle masse muscolari che gli permettono di mantenere l’equilibrio su una sedia sgangherata o semplicemente perché sta seduto sul bordo e si dondola, quanta ne resterà da fornire ai neuroni e alle sinapsi che presiedono alla decodificazione e all’immagazzinamento delle informazioni?
Spero di avere acceso una scintilla o meglio di aver lanciato una granata, nel melting-pot delle vostre informazioni. Se così fosse avrei raggiunto il mio obiettivo.
Se così fosse, riterrei di avere degnamente ricordato il Prof. Bastien che non solo ci ha aperto gli occhi sulla moderna Optometria ma che non chiudeva un corso senza aver dedicato una mezz’ora a come la professione avrebbe dovuto essere esercitata e all’etica a cui doveva sottendere.
Grazie per l’attenzione
Gianni Rehak, Optometrista S.O.E.

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